(L’articolo è uscito sul n.131 del settimanale Lo Jonio e sulla sua pagina FB)

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Qualche settimana fa, nel numero di febbraio, avevo scritto che l’epidemia in Cina avrebbe sicuramente avuto effetti economici anche da noi. In particolare, le forti restrizioni nella regione di Hubei, poste in essere alla fine di gennaio, avrebbero – già da sole – determinato effetti a catena sull’economia mondiale sia attraverso una contrazione della domanda cinese di prodotti e servizi esteri che attraverso una contrazione della produzione, dovuta in gran parte alla mancanza di pezzi di ricambio prodotti in quella regione. Questo effetto doppio però sembrava distante e, nei fatti, era percepito come esterno alla Unione Europea: come un affare prettamente cinese.

Adesso che l’epidemia è arrivata da noi e sta deflagrando in tutta Europa la crisi sanitaria si è palesata come profonda crisi economia e questo è dovuto sia alla flessione della produzione (che ha rallentato o si è interrotta) sia alla contrazione della domanda dei consumi delle famiglie (bloccate a casa) e degli investimenti delle imprese (che giustamente vedono un futuro incerto). E c’è una forte co-evoluzione fra i due elementi, tutto è concatenato e gli effetti si rafforzano tra di loro. Questo dovrebbe rendere chiaro a tutti che siamo di fronte a una crisi ben diversa rispetto a quella del 2008: è una crisi sanitaria che ha colpito, in modo sincrono, tutti i settori del sistema economico senza distinzione.

È l’incertezza a fare da padrone in questo momento. Tecnicamente sia gli eventi incerti che quelli rischiosi sono accomunati dalla non conoscenza degli eventi futuri. Tuttavia mentre per i secondi conosciamo la distribuzione di probabilità, e quindi possiamo fare dei calcoli per i primi non conosciamo la possibile distribuzione degli eventi e dobbiamo navigare a vista. In questo momento l’incertezza è pervasiva; lo è se pensiamo al dispiegarsi dell’epidemia o agli effetti di breve e lungo periodo sul sistema economico-politico nel suo complesso.

Se gli eventi futuri sono incerti, non è possibile fare delle previsioni, e tutte le previsioni fatte basandosi solamente su un seppur complicato profilo rischioso (sic!) saltano. Ed è qui che emerge il vero ruolo dello Stato in economia, diverso rispetto a quello visto/pensato/immaginato e retoricamente propinato – almeno – negli ultimi trent’anni. L’immagine che ne abbiamo avuto è quella di uno Stato che tassa e offre servizi. Uno Stato che non deve intromettersi nello svolgersi del sistema economico, che deve essere ridotto al minimo e che deve mantenere il rigore dei conti a tutti i costi.

L’immagine che ne stiamo avendo in queste ultime settimane è invece ribaltata. È la sanità pubblica in prima linea contro l’epidemia e lo è contro tutti i tagli di questo inizio secolo. E sono le misure attuate solo ieri dal Governo a poter tenere dritta la rotta mentre si fronteggia la tempesta. Il decreto “Cura Italia” ha tre elementi principali. Il primo è il finanziamento della sanità e della protezione civile per fronteggiare l’emergenza. Si tratta dell’elemento cardine e irrinunciabile per dare certezza della tenuta del sistema per contenere i danni (in termini di vite umane). Ci sono però altri due elementi volti a sostenere da una parte le famiglie e dall’altra l’attività produttiva, per traghettare entrambi e non trovarci fra qualche mese con il sistema produttivo azzerato.

Fra le misure più rilevanti vanno menzionate sicuramente la cassa integrazione in deroga allargata a tutti i settori, la proroga dei versamenti fiscali (in primis l’IVA) e il sostegno al reddito delle famiglie (congedi speciali pari al 50% della retribuzione o voucher babysitter), ma soprattutto lo stop ai licenziamenti per due mesi e l’indennità una tantum di 600 euro per circa 5 milioni di lavoratori autonomi. Allo stesso tempo è centrale il potenziamento e l’ampliamento del fondo di garanzia delle PMI e, per le medio-grandi imprese, il ruolo dato alla Cassa Depositi e Prestiti quale garante dei prestiti delle banche. Quest’ultimo elemento è fondamentale per la tenuta del sistema. Dovete immaginare un’impresa (anche sana) con un debito verso il sistema bancario: in questo momento, in mancanza di ricavi o con bassi ricavi, anche questa impresa non sarebbe in grado di ripagare le banche e fallirebbe. Allo stesso tempo, se il sistema bancario è sotto stress, gli istituti di credito richiederebbero alle imprese di rientrare dei propri debiti ma vedrebbero aumentare i crediti non esigibili o in sofferenza. La garanzia statale permette al sistema bancario e alle imprese di reggere e rinviare il rimborso dei prestiti a tempi migliori.

Ci sono alcune cose che mi lasciano perplesso: poca è la rilevanza data ai risparmi delle famiglie. Penso in particolare al crollo della Borsa Italiana in queste settimane. Il crollo del prezzo delle azioni ha almeno tre effetti: la contrazione della ricchezza delle famiglie (che si sentono più povere), la riduzione del valore del patrimonio netto delle imprese che sono più deboli e, riguardo a quest’ultimo punto, la conseguente possibilità per le imprese italiane di esser scalate.

Tuttavia mi sembra evidente che lo Stato torna a essere perno imprescindibile del sistema economico. A questo punto c’è da chiedersi come si finanzierà tutto questo. Il Patto di Stabilità e Crescita prevede già deroghe per casi di necessità e quindi il Governo ha ampi margini di manovra per aumentare il deficit (contemporaneamente sta infatti aumentando le spese e riducendo il gettito fiscale) e di conseguenza il debito. Torna quindi al centro della scena la politica fiscale che è rimasta ingessata in questo trentennio fra i paletti di Maastricht e quelli del Patto di Stabilità.

E qui entra in gioco proprio il ruolo delle istituzioni Europee. Da una parte c’è stata la frase del Governatore della BCE, Christine Lagarde, che ha fatto temere per un cambio di strategia rispetto al Whatever it takes di Mario Draghi. È stata una frase infelice ma dal punto di vista istituzionale la Lagarde ha detto semplicemente che la BCE non può comprare titoli del debito direttamente dagli Stati e che i Governi devono giocare la loro parte attraverso la politica fiscale. È tutto vero e niente di nuovo sotto il cielo ma possiamo dire tranquillamente che la tempistica ha determinato sui mercati un ciclone. Ritengo fondamentale il ruolo della BCE sia (come già proposto) nel sostenere e difendere il sistema bancario sia spingendosi più in là e forzando il quadro istituzionale sostenendo gli Stati nell’espansione fiscale necessaria. Quest’ultimo elemento ovviamente necessita di un cambiamento istituzionale ma è chiaro, mentre scrivo che i tempi sono strettissimi. La BCE ha appena annunciato un nuovo quantitative easing per l’acquisto di titoli pubblici e privati, un programma con una dotazione complessiva di 750 miliardi di euro e che verrà portato avanti almeno fino alla fine dell’anno. Ancora più importante, la BCE dichiara esplicitamente che è pronta sia ad aumentare la magnitudo dell’intervento che la sua durata.

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D’altra parte manca sempre di più un governo centrale europeo. Al momento i Paesi stanno procedendo in ordine sparso, con tempistiche e modi diversi. È proprio la complessità dei fenomeni che necessità di un Governo centrale forte che non faccia semplicemente da coordinatore/facilitatore delle decisioni dei singoli stati ma prenda in mano la situazione. E questo è ancora più vero se consideriamo l’evoluzione del sistema economico mondiale, la maggiore interconnessione fra paesi ci dà sì vantaggi ma ci rende anche più fragili (come Stati nazionali) rispetto alla propagazione di contagi sanitari o economici. In questo momento l’Europa è afona e questo lascia spazio più alla chiusura che alla società aperta che auspico. Abbiamo invece ancor più bisogno in questo momento di uno Stato Federale sia per la suddivisione dei costi sociali dell’epidemia che per evitare comportamenti opportunistici come la chiusura dell’export di prodotti sanitari.

È difficile navigare nell’incertezza, quello che possiamo e dobbiamo fare è cronicizzare quanto più possibile l’epidemia e traghettare famiglie e imprese in sicurezza verso il ritorno a una normalità che non sarà necessariamente quella che abbiamo appena lasciato.

PENSARE LA MACROECONOMIA