Un po’ di anni fa ho avuto l’incarico di curare un numero speciale della rivista “il Ponte”. Dopo tante fatiche il numero e’ uscito nel luglio/agosto 2009 e adesso e’ anche disponibile online sul sito della rivista.

Vi riporto di seguito l’introduzione. Per leggere tutti gli articoli vi invito potete cliccare su Nord-Sud. Un gioco di prospettiva”








Questo Speciale di Giorgio Ricchiuti

“Il presente numero de «Il Ponte» nasce da informali discussioni che si sono svolte fra dottori e dottorandi dell’Università degli Studi di Firenze. Gli autori sono tutti membri, passati e presenti, del dottorato in Politica ed Economia dei Paesi in via di sviluppo, il terzo livello formativo della filiera dell’Economia dello sviluppo presso la Facoltà di Economia.

Il numero nasce dall’esigenza di condividere i propri personali percorsi formativi e trovare/costruire un ponte fra le diverse (e diversificate) esperienze di questo specifico gruppo e una lettura comune all’interno dei diversi ambiti in cui si svolge la ricerca degli autori. Peculiarità del dottorato, e dell’economia dello sviluppo in generale, è quella di affrontare diversi argomenti e di raccogliere giovani studiosi con percorsi formativi e approcci metodologici eterogenei.

Proprio l’eterogeneità ha generato i tre elementi portanti di questo numero: una lettura comune degli argomenti studiati (invece di un comune argomento), la sperimentazione di un approccio partecipativo alla creazione del numero e, infine, la consapevolezza che identificare i Paesi in via di Sviluppo o i Paesi Emergenti dipenda piú dall’argomento trattato che da una immanente e clear-cut definizione accademica.

Fin da subito è emersa la difficoltà di costruire un numero monografico su uno specifico argomento (migrazione, povertà, disuguaglianza sociale, ecc.), date le differenze degli specifici interessi di ricerca dei componenti del gruppo. Allo stesso tempo è stata privilegiata la discussione e la ricerca (all’interno delle proprie linee di ricerca) di una lettura comune piuttosto che l’avvio di un programma di ricerca su un comune argomento che da una parte avrebbe comportato tempi troppo lunghi (prescindendo dagli obiettivi del «Ponte») e dall’altra avrebbe incontrato da subito il limite (per me insanabile) di non partire da un sentire individuale.

Dopo una discussione approfondita è emersa la volontà di analizzare diverse problematiche da un doppia prospettiva basata sulla dicotomia Paese in via di Sviluppo e Paese Sviluppato. L’obiettivo è quello di far emergere diversità di visione, di interessi, di “strutture”, mettendo in luce come alla base del conflitto – relae o potenziale – fra Nord e Sud del mondo vi sia un’ampia eterogeneità nei contesti storico-antropologico-istituzionali dei diversi paesi. Da tale lettura abbiamo cercato di trarre indicazioni di metodo e di “status” della scienza economica.

L’obiettivo dell’accettazione unitaria del risultato ha portato inoltre alla proposta di un approccio partecipato alla creazione del numero. È questo un esperimento nuovo e solitamente non ricercato dai curatori per due ordini di motivi: il desiderio di dare un forte e personale imprinting alla monografia e la preoccupazione di non perdere tempo nelle discussioni che, a volte, posso essere lunghe, estenuanti e infruttuose. Tuttavia, da una parte i diversi autori sono (o sono stati) reciprocamente protagonisti degli anni di formazione, condividendo spazi fisici e intellettuali. Dall’altra, è emerso fin da subito in tutti noi il desiderio di costruire/individuare (senza peraltro aver la presunzione di riuscirci) un’identità al programma di Dottorato. Diverse riunioni sono state dedicate all’individuazione della lettura comune da dare ai lavori, sui tempi e sugli argomenti dei singoli partecipanti. In una seconda fase, i contributi – distribuiti a tutti gli interessati piú ad alcuni esterni alla monografia – sono stati presentati e discussi durante un workshop che si è tenuto presso la Facoltà di Economia nel gennaio 2007 alla presenza di tutti gli autori.

Durante il workshop è emersa chiaramente come sia stata data nelle relazioni, piú implicitamente che esplicitamente, una definizione fluida di Paesi in via di sviluppo. In alcuni lavori si usa come sinonimo l’espressione Paese Emergente per indicare quel gruppo di paesi (latino americani e asiatici) che hanno compiuto enormi passi nell’avvicinamento (catching-up) ai Paesi Industrializzati. Sottolineando quindi un processo di emancipazione dei primi dai secondi, se non una vera e propria tripartizione dei paesi: Industrializzati, Emergenti e in via di Sviluppo. Come distinguere i diversi gruppi? Emerge chiaramente che non esiste una definizione chiara e l’appartenenza a uno specifico gruppo sembra dipendere in modo cruciale dall’argomento analizzato. Nella monografia vengono discusse e analizzate sei importanti problematiche dei rapporti fra i diversi paesi: la migrazione, la ricerca, i flussi di valuta, l’ambiente, il ruolo di nuovo grandi giocatori (la Cina) e infine il ruolo dei beni posizionali.

Nel loro contributo Simone Bertoli e Francesca Marchetta sfatano alcuni dei luoghi comuni che sembrano dominare il tema delle migrazioni internazionali. La percezione collettiva dei fenomeni migratori che si è diffusa negli ultimi anni nei paesi occidentali sembra denotare l’esistenza di un situazione conflittuale fra paesi di provenienza e di destinazione dei migranti. Da una parta, una crescente pressione da parte di migranti, la cui presenza porterebbe a una concorrenza con i residenti sul mercato del lavoro e a un crescente senso di insicurezza – anche grazie alla copertura mediatica del fenomeno – tenderebbe a suggerire un forte legame fra immigrazione e criminalità. D’altro canto, i paesi di provenienza riuscirebbero, tramite l’emigrazione, ad alleggerire la pressione sui loro mercati del lavoro e a ottenere, tramite l’invio di rimesse, una consistente fonte di valuta estera che ne trainerebbe la crescita. I due autori smontano queste percezioni. Infatti i dati disponibili mostrano: a) che il numero di migranti non è aumentato in maniera cosí marcata; b) che la maggior parte degli spostamenti avviene tra gli stessi paesi del Sud; c) che i lavoratori migranti non sostituiscono ma integrano quelli dei paesi di destinazione, inserendosi in quei settori progressivamente abbandonati dai residenti. Inoltre, l’evidenza circa l’impatto della migrazione sui paesi di provenienza è controversa, e alla preoccupazioni sulla cosiddetta “fuga dei cervelli” si accompagna uno scetticismo crescente sul ruolo delle rimesse come possibile motore dello sviluppo. Infine, i due autori discutono ampiamente sia i provvedimenti legislativi sempre piú restrittivi adottati negli ultimi anni dai paesi del Nord sia le politiche pubbliche verso l’emigrazione perseguite nei paesi del Sud, cercando in tal modo di valutare in che modo queste politiche possano modificare l’impatto economico dei fenomeni migratori.

Nel secondo contributo Marika Macchi e Sara Turchetti si pongono come obiettivo quello di riconsiderare le dinamiche di innovazione e trasferimento tecnologico presenti nella fase odierna di accelerazione dei flussi di conoscenza, che segna una trasformazione profonda della struttura e delle relazioni produttive. Il percorso affrontato tenta infatti, da un lato, di definire e comprendere meglio le esigenze e le possibilità di fruibilità dell’innovazione da parte dei paesi meno sviluppati considerando in questo le possibilità aperte dalla diffusione delle innovation and communication technologies; dall’altro lato, di individuare alcuni degli interessi che continuano a porre limiti alla capacità di accesso alle innovazioni, che spingono verso sentieri di ricerca talvolta perfino divergenti dalle esigenze reali dei sistemi socio-economici.

La struttura del mercato dei cambi è al centro del contributo di Giorgio Ricchiuti. Il mercato come lo conosciamo adesso è il risultato di un profondo processo innovativo che ha visto dagli inizi degli anni settanta un’accelerazione dovuta sia alla semplificazione nella contabilizzazione degli scambi che alla possibilità di conoscere in tempo reale le ragioni di scambio in diversi paesi e luoghi. L’analisi si concentra sulle diverse componenti (agenti) del sistema, studiando gli effetti che la loro interazione può produrre sull’intero sistema. L’autore si riferisce in particolare al ruolo giocato da attori principali (Banche) del Nord presenti, con forti interessi e pochi legami nazionali, nei mercati emergenti. Inoltre, un particolare ruolo è giocato dagli attori secondari (i cittadini) che grazie alle nuove tecnologie posso essere giustamente definiti i risparmiatori del mondo. Infine, gli attori emergenti (per esempio la Banca Centrale cinese) hanno giocato e potranno giocare un ruolo preponderante. Si parte dalla convinzione che il mercato sia un sistema complesso composto da agenti che si autoorganizzano interagendo fra di loro in diversi modi. Gli agenti non solo differiscono nelle strategie adottate, nelle informazioni possedute e nelle loro preferenze, ma anche nel peso che hanno all’interno del sistema. Quest’ultimo elemento è di cruciale importanza per il sistema economico e per il mercato valutario in particolare: grandi operatori possono muovere volumi consistenti di valuta determinando in un breve lasso di tempo variazioni importanti nei prezzi di quest’ultima. È questo in particolare il ruolo giocato da Banche Commerciali e Istituzioni non bancarie dei paesi occidentali presenti, con forti interessi ma con pochi legami territoriali (e azionari), nei mercati emergenti. La tesi principale è che i mercati emergenti sono deboli e vulnerabili perché al loro interno ci sono (grandi) agenti che, avendo i principali stakeholders in paesi differenti, nel massimizzare il profitto non hanno come variabile limitante gli effetti delle proprie azioni sul paese che li ospita.

Il quarto contributo analizza il rapporto con le risorse ambientali. Studiato da prospettive opposte, l’ambiente è stato concepito come fonte di sussistenza, di capacità produttiva e di ricchezza, ma anche come limite alla crescita economica o come semplice bene finale di lusso. L’ambiente è la base di ogni attività produttiva, ma allo stesso tempo le sue limitate capacità riproduttive pongono un ostacolo all’espansione illimitata. Per Elisa Ticci il ruolo attribuito alle risorse ambientali nei processi di sviluppo economico e nell’ampliamento del benessere cambia in base alla prospettiva adottata. La diversità degli agenti in termini di specializzazione produttiva, di livello di reddito, dotazioni iniziali di risorse naturali e di attivi produttivi complementari o sostituti sono tutti fattori che influenzano la concezione dell’ambiente, la dipendenza del benessere dall’ambiente nonché la vulnerabilità al degrado ambientale, all’esclusione dell’utilizzo del capitale naturale e all’esaurimento delle risorse ambientali.

Sul ruolo della Cina all’inizio di questo terzo millennio si è detto molto. Marco Sanfilippo ci propone la lettura di un effetto nuovo dato dalla crescita cinese: il cambiamento dei rapporti geo-economici. L’entrata in scena di nuovi attori (Cina e India) potrà portare allo stravolgimento del sistema di relazioni internazionali, il quale sembrava essersi stabilizzato verso una prevalenza degli USA e dell’Unione Europea. L’ingresso prepotente di questi paesi, tutt’ora per molti versi considerabili Paesi in via di sviluppo, comporterà di certo una riorganizzazione delle relazioni e risulta essere di particolare interesse se si guarda alle politiche di cooperazione e sviluppo internazionale, dove i paesi emergenti sembrano voler occupare, trasformandolo, il ruolo di partner degli altri PVS (particolarmente dell’Africa e dell’America Latina) che appartiene storicamente ai paesi sviluppati e alle organizzazioni internazionali. Un caso di grande rilevanza è quello del crescente ruolo che la Cina sta guadagnandosi rispetto ad altri paesi in via di sviluppo, soprattutto all’interno del continente Africano. Le relazioni Sino-Africane, sorte già nei primi anni cinquanta con motivazioni quasi esclusivamente politiche, sembrano essersi rivitalizzate a partire dalla fine degli anni novanta. Ma diversamente dal passato, ciò sembra essere dovuto a fattori prevalentemente di tipo economico, che presentano tuttavia ripercussioni a livello di relazioni politiche, sia bilaterali che multilaterali. L’ascesa cinese e il conseguente interesse verso i paesi africani pongono però molti spunti per una riflessione sulla possibilità di trovarsi di fronte a un nuovo modello di cooperazione economico-politica di tipo sud-sud da contrapporre al modello classico di tipo nord-sud. L’autore sottolinea come molti vedano la crescente presenza della Cina in Africa come una nuova, grande, opportunità per lo sviluppo della regione, opportunità che deriva dagli ingenti flussi (sotto forma di aiuti bilaterali, investimenti e commercio) provenienti dalla Cina e concessi ai vari paesi senza imporre particolari condizioni da rispettare. Altri, invece, sottolineano il rischio di un nuova forma di colonialismo che costringerà una volta di piú i paesi africani a essere relegati al ruolo di meri serbatoi di materie prime e, di conseguenza, a essere strettamente dipendenti dai nuovi partner. L’analisi è supportata dall’osservare nel dettaglio i principali risvolti, sia in termini economici che politici, della presenza cinese in Africa, prestando grande attenzione sia alle possibili conseguenze dirette sui paesi africani che, a livello piú ampio, alle possibili implicazioni sui rapporti di forza a livello internazionale.

L’ultimo contributo è di natura teorica. Francesco Sarracino fa alcune riflessioni sui beni posizionali, beni il cui valore dipende dallo status sociale di chi li detiene e che essi riflettono. Da questi, deriva una “competizione posizionale” che spinge gli individui a livelli di consumo e di produzione sempre piú elevati. L’esito di queste dinamiche sembrano proprio essere le moderne società opulente in cui si consuma e si lavora sempre di piú inseguendo redditi piú elevati e in cui si tende a sostituire le relazioni interpersonali con relazioni economiche. Per l’autore esisterebbe un trade-off tra benessere e crescita economica che i beni posizionali possono permettere di comprendere meglio. In particolare, soprattutto per i paesi piú sviluppati questo significa interrogarsi circa l’esistenza di un limite superiore allo sviluppo. Un limite oltre il quale i benefici da un ulteriore crescita si riducono. Dall’altro lato i beni posizionali interessano anche le società piú povere in cui possono giocare ruoli differenti: saranno un freno od un motore dello sviluppo? I beni posizionali, attraverso i meccanismi competitivi che ingenerano, si candidano come un motore della crescita economica. Ma fino a quanto e a quali costi sarà possibile questa crescita? Che riflessi può avere la concorrenza posizionale sul futuro di un paese povero? Sarracino propone una lettura di tali conseguenze in termini di politiche economiche ottimali per governare questi fenomeni e rispondere alle necessità di sviluppo delle generazioni presenti e future.

Vorrei ringraziare Franco Volpi e Nicolò Bellanca che hanno seguito con attenzione e partecipazione la nascita e la crescita di questo numero monografico. A Giovanni Canitano, Leonardo Menchini, Andrea Passacantilli, Luca Tiberti va inoltre il nostro ringraziamento per il contributo importante dato al nostro percorso.

PENSARE LA MACROECONOMIA