di Stefano Caserini.
È stata una delle letture, piacevoli, dell’estate. La Fondazione Finanza Etica mi ha invitato infatti a discuterne i contenuti, con l’autore, durante la rassegna “Non con i miei soldi”. Eliminiamo tutti i dubbi che possono venire dal sottotitolo: il libro NON è una negazione dei cambiamenti climatici ma parte dal presupposto, che condivido pienamente, che “far paura e seminare terrore” non serve a niente. C’è bisogno di spiegare cosa stia avvenendo, mostrare i dati sulle variazioni determinate dall’immissione dei climalteranti attraverso le attività umane e indicare le opzioni che abbiamo difronte. E allo stesso tempo individuare i buoni segnali che indicano un cambiamento nel clima (sic!) politico, economico e dell’informazione. All’inizio ero rimasto un po’ colpito dal non vedere chiaramente un elenco delle buone notizie. In realtà andando avanti nella lettura diventa chiaro quali siano. È come una caccia al tesoro: cercate le buone notizie fra tutti i dati difficili da digerire, che spiegano la complessità della situazione. Ve ne regalo qualcuna, cercando di evitare di svelare troppo il contenuto del testo. La prima buona notizia è che non finiremo bolliti come Venere! E mi sembra già tanto. La seconda è che sappiamo cosa stia avvenendo e che bisogna intervenire. In particolare, è chiaro che le attività umane immettano ingenti quantità di CO2 nell’atmosfera, alterando il bilancio energetico. Senza un intervento deciso, le temperature medie aumenteranno generando cambiamenti climatici. L’unica possibilità che abbiamo è intervenire per ridurre l’immissione di climalteranti nell’atmosfera e, allo stesso tempo, studiare tecnologie che possano ridurre la CO2 già presente in atmosfera. Tuttavia, come spiegava bene Jared Diamond in Collasso, sapere bene cosa stia avvenendo e come risolvere il problema non vuol dire che prenderemo la strada giusta. La terza buona notizia è che il negazionismo è stato battuto, anche se c’è ancora chi ci prova e alcuni politici (anche influenti) facciano finta di niente o, peggio, cassa di risonanza per negazionisti arraffoni.
È bene anche sottolineare che, paradossalmente, questa è una grande opportunità per riragionare sulle contraddizioni dell’intero sistema economico e, a livello micro, sulla nostra vita di tutti i giorni. Lascio a voi la scoperta delle altre buone notizie, alcune molto interessanti e che fanno quasi sperare. Restano però alcune domande che emergono dalla lettura e che ho rivolto all’autore durante la serata. Per deformazione professionale, mi viene naturale dividere la società in tre macroattori: consumatori, produttori e “attori pubblici”. E di conseguenza le domande li riguardano: 1. Nel libro si parla degli “interessati”, persone che hanno a cuore il clima, hanno già ben presente quello che sta avvenendo e cercano il più possibile di comportarsi di conseguenza. Sono persone che hanno già una coscienza politica. E gli altri? Come facciamo a convincere gli altri? Ad informarli, a far prendere loro le decisioni migliori, per ridurre l’impatto antropico sul mondo? 2. Contrastare il cambiamento climatico vuol dire per prima cosa cambiare il modo in cui le imprese producono energia. L’abbandono dei combustibili fossili (peraltro già punto rilevante del Club di Roma) presuppone però non solo un cambiamento nelle tecnologie ma anche uno spostamento dei capitali fra settori. La transizione è già iniziata ma va accelerata e indirizzata attraverso investimenti pubblici. Quale è il ruolo che gioca la rivoluzione tecnologica in corso? 3. Parlo di attori e non di decisori perché vorrei inserire anche i giornalisti in questa partita. È chiaro che il ruolo degli attori pubblici sia centrale: mettono in comunicazione consumatori (domanda) e produttori (offerta) e possono nei fatti dare una direzione. Come possiamo migliorare l’informazione pubblica, per raggiungere il maggior numero di cittadini? 4. Il decisore pubblico è più regolatore del mercato o vero protagonista del cambiamento? Per un’economista queste sono due visioni contrapposte e difficilmente, visto quello che è successo negli ultimi 30 anni, ricomponibili. Allo stesso tempo mi chiedo cosa si possa fare a tutti i livelli geografici (comune, regione, paese, continente) per intervenire. Una volta presa coscienza dell’esistenza del problema, il dibattito deve essere velocemente indirizzato ai modi e i tempi di intervento per cambiare il clima!
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